Parma, traffico di baby calciatori: 5 indagati 

Sono accusati, a vario titolo, dei reati di “falso e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina” cinque ivoriani, cioè il 56enne Bly Blaise Tehe, il 45enne Hamed Mamadou Traore, la 41enne Marina Edwige Carine Teher (dipendente dell’Atalanta), il 42enne Zadi Gildas Abou e la 39enne Larissa Ghislaine Teher, nei cui confronti la polizia di Parma, ieri, su delega del pm Fabrizio Pensa, ha eseguito una serie di perquisizioni. 

Secondo la Procura, i cinque, “fingendosi genitori di 5 giovanissimi calciatori ivoriani (minorenni all’epoca del loro ingresso in Italia), hanno ottenuto, prima il rilascio del visto di ingresso, e poi il rilascio del permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare, consentendo l’ingresso in Italia dei 5 ragazzini, immediatamente avviati all’attività calcistica”. 

L’attività di indagine, dettaglia la Procura, è nata “dalle dichiarazioni rese da Giovanni Damiano Drago nell’ambito del procedimento penale legato all’operazione ‘Piccoli elefanti’, conclusasi nel dicembre del 2017 con l’arresto dello stesso Drago, di Demoya Yves Gnoukouri e di Kone Abdouraman, oltre alla denuncia in stato di libertà di altre cinque persone”. Davanti al pm Pensa e agli investigatori della squadra mobile, infatti, Drago “dichiarò di essere a conoscenza che Tehe, coimputato nello stesso procedimento, oltre ai falsi ricongiungimenti familiari già contestatigli, tra il 2014 e il 2015, con la complicità di altri suoi connazionali, avrebbe consentito l’ingresso irregolare in Italia di cinque giovanissime promesse del calcio ivoriano, alcune delle quali sarebbero state ingaggiate in società di calcio professionistico”. 

Le verifiche preliminari degli agenti della squadra mobile “hanno consentito di identificare i quattro complici di Tehe e i cinque giovanissimi giocatori”. Dagli accertamenti è infatti emerso che Marina Edwige Carine Teher, dipendente dell’Atalanta, “è entrata in Italia, nel 2005 a seguito di ricongiungimento familiare richiesto dall’allora marito Hamed Mamadou Traore (fondatore del club calcistico di Abidjan Leader Foot Academy, dove hanno esordito due dei cinque giovani calciatori condotti clandestinamente in Italia da Drago)”. 

I due, nel 2014, “hanno fatto entrare in Italia, sempre attraverso un visto per ricongiungimento familiare, due figli che, dopo esser stati ingaggiati in squadre di calcio locali, sono approdati rispettivamente al Sassuolo e all’Atalanta”. Larissa Ghislaine Teher, sorella di Marina, dopo essere entrata in Italia nel 2000 per motivi di lavoro, nel 2013 “viene raggiunta, tramite ricongiungimento familiare, dall’allora marito Zadi Gildas Abou”. 

Anche loro, nel 2015, si riuniscono con i loro 2 figli che entrano in Italia con un visto per ricongiungimento familiare. Come i due “cugini”, anche i figli di Marina e Zadi Gildas, immediatamente “vengono avviati al calcio in squadre locali e ora, uno milita in una squadra di Serie D, l’altro gioca nel Lecce”. Lo stesso Tehe, entrato in Italia nell’87 e sposato con una cittadina italiana, dettaglia ancora la Procura, “nel 2014 viene raggiunto dal figlio, nato nel 1999 in Costa d’Avorio”. Anche lui, come gli altri, “dopo aver avuto il suo battesimo calcistico in una squadra locale, ha militato nelle giovanili e nelle prime squadre di alcuni club italiani di serie inferiori, per poi esser tesserato nel Parma Fc e andare in prestito al Tps nella massima serie del campionato finlandese”. 

Dalle indagini condotte con “un’imponente attività di intercettazione telefonica ed attività tecnica di natura biologica”, è emersa “l’assoluta estraneità” tra gli indagati e i presunti figli. Anche i quattro giovani calciatori ancora presenti in Italia, ieri “sono stati sentiti come persone informate sui fatti, contemporaneamente alle perquisizioni che hanno permesso di trovare e sequestrare parte della falsa documentazione utilizzata per ottenere il loro ingresso sul territorio nazionale”. E le loro dichiarazioni hanno fornito “il definitivo riscontro” all’ipotesi investigativa sulla “falsità dei loro rapporti di parentela con gli indagati”. 

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