Galli: “Programmare ripresa giusto, anticiparla pericoloso” 

“Se non si vuol ricominciare da capo” con i contagi da nuovo coronavirus, “bisognerà riprogrammare la ripresa. Ripresa che non dovrà avvenire prima del dovuto. La via da percorrere, a mio avviso, è quella di trovare il giusto mix fra utilizzo dei tamponi e dei test rapidi e di procedere per gradi cominciando a valutare le persone chiamate per prime a rientrare al lavoro”. E’ la visione dell’infettivologo Massimo Galli, primario dell’ospedale Sacco di Milano e docente di Malattie infettive all’università Statale del capoluogo lombardo. 

“Io suggerisco – spiega all’AdnKronos Salute – di operare sulle persone che devono rientrare una prima valutazione con i test rapidi degli anticorpi, per poi procedere con il tampone su quelli che hanno il test rapido positivo. Chi avesse anche il tampone positivo deve continuare la quarantena, gli altri a tampone negativo (discutendo se farne uno o due di verifica) potremmo considerarli ‘guariti’. I negativi al test rapido vanno al lavoro. Tutti dovranno utilizzare misure di protezione e rispettare il distanziamento”. 

Questa la premessa per evitare nuove fiammate dell’epidemia di Covid-19. Fermo restando che “programmare la ripresa è giusto, anticipare è pericoloso”, avverte Galli. Quello che è certo per lo specialista è che “bisogna espandere il fronte della diagnostica che è rimasto al di sotto del necessario. Finora ci si è concentrati tanto sul dilatare il più possibile i posti di terapia intensiva come era indispensabile fare, ma non si è moltiplicata la linea della diagnostica come era altrettanto indispensabile fare nell’ottica di una ripresa vitale. Il primo pensiero è ovviamente salvare vite, ma se ne salvano ulteriori se si evita l’ulteriore diffusione” del virus Sars-CoV-2 “e quest’ultimo è uno dei compiti che si possono svolgere con una copertura diagnostica più ampia. Si salva anche il Paese se ci mettiamo nelle condizioni di riprendere e di farlo in sicurezza. Al momento non vedo altra strada”. 

“E’ questa – ragiona Galli – una materia difficile. Stiamo capendo cosa si può fare, perché non c’è un ‘golden standard’ che ci può dire ‘si fa così’. Quello che è sicuro è che non riusciremo a processare centinaia di migliaia di tamponi che rischiano di essere anche ripetuti e di diventare milioni. Bisogna dunque trovare una via, incrociare due modalità – test rapidi per selezionare chi sottoporre a tampone – per facilitare il ritorno al lavoro delle persone il più rapidamente possibile”. 

“Penso quindi – riepiloga – che gli strumenti a rapido utilizzo abbiano una possibilità di impiego importante, insieme ai tamponi, in prospettiva di una riapertura quando sarà. I test sierologici che si fanno direttamente sul sangue sono estremamente più precisi, ma prima bisogna averli e potrebbero essere un test di verifica, rispetto alla sensibilità dei test pungidito”. 

Si potrà immaginare l’idea di una ‘patente’ del guarito o di una ‘patente per la ripresa’? “Ogni ragionamento dipende anche dalle aree del Paese che prendiamo in considerazione e da come si può approcciare il problema – osserva Galli – Pensiamo alla Lombardia” e ai numeri molto alti dell’epidemia registrati in questa regione. “Qui bisognerà capire. Se una persona non ha mai avuto nessun contatto con positivi e nessun sintomo, su questa si può valutare se rimandarla al lavoro con tutte le protezioni individuali, ma non si avrebbe certezza che non abbia contratto l’infezione. Proprio per questo ci si orienta a pensare a un uso esteso dei test rapidi per screenare chi il contatto con il virus l’ha avuto. In ogni caso, bisognerà impegnarsi a definire una strategia, se non si vuol ricominciare da capo”, conclude l’esperto.  

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