La lettera del medico: “Tanti colleghi al lavoro con sintomi” 

A lavoro come guardia medica nonostante i sintomi del Covid-19, senza nessuna sorveglianza o il tampone da parte dell’azienda sanitaria. Un autoisolamento volontario e il ritorno al lavoro con il rischio di infettare i colleghi. E’ la storia raccontata in una lettera inviata al sito MedicalFacts.it, fondato dal virologo Roberto Burioni, firmata dalla dottoressa Renata Gili che racconta la sua esperienza e lancia un allarme: “So di tantissimi colleghi, di diverse Asl, che sono andati a lavorare nonostante la comparsa di sintomatologia – scrive Gili – magari subito il giorno dopo la scomparsa della febbre, su indicazione dei servizi di igiene o della medicina del lavoro”.  

“Il paradosso, infatti, consiste in questo – denuncia la dottoressa – per farti stare a casa o per decidere di farti il tampone, devi avere avuto un contatto con un caso di Covid-19 accertato, altrimenti sostengono che sia influenza. Ma come si può sapere se uno ha avuto un contatto con un caso di Covid-19 accertato, se sul territorio praticamente il tampone non lo si fa a nessuno? Chissà quanti medici e infermieri sono positivi e stanno infettando mezzo mondo”. 

La dottoressa ricostruisce nella lettera quanto le è accaduto: “Il 9 marzo sera ho avuto i primi sintomi, febbricola e mal di gola, seguiti da tosse e perdita del gusto e dell’olfatto. Dall’Asl dove faccio guardia medica mi hanno dato l’ok per tornare a lavorare appena passata la febbre: quindi avrei potuto riprendere il 12 marzo, secondo loro. Visti i sintomi molto tipici ho, però, deciso autonomamente di fare mille cambi di turno e autoisolarmi per 14 giorni. Non hanno voluto farmi il tampone subito – ricorda – io ho insistito, dicendo che la sintomatologia era molto tipica e si sono decisi a farmelo solo il 20 marzo, ovviamente positivo. Visto che l’esito del tampone sarebbe arrivato il 24, ho chiesto se potevo rimanere a casa il 23 marzo – in quel giorno avevo un turno – ma non mi sono arrivate disposizioni ufficiali di isolamento, nonostante fossi in attesa di esito tampone”. 

“Quindi, quel turno non l’ho potuto in nessun modo evitare e l’ho fatto. Era in centrale operativa e ho condiviso con tre colleghi una stanza chiusa per 12 ore. Avevo mascherina, ma non vuol dire molto. Così, adesso, tre miei colleghi sono stati a contatto con un Covid-19 positivo e, nonostante la mia segnalazione immediata, probabilmente continueranno a lavorare per la lentezza delle indagini di sorveglianza – conclude Gili – La cosa grave è che se non mi fossi auto-isolata dal 12 marzo in poi avrei normalmente lavorato e avrei messo a rischio di infezione decine di persone (quasi tutti anziani e malati cronici, visto che sono questi che per lo più chiamano la guardia medica)”.  

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